IL PARLAMENTO EUROPEO E IL CONSIGLIO DELL’UNIONE EUROPEA,
visto il trattato sul funzionamento dell’Unione europea, in particolare l’articolo 114,
vista la proposta della Commissione europea,
previa trasmissione del progetto di atto legislativo ai parlamenti nazionali,
visto il parere del Comitato economico e sociale europeo (1),
deliberando secondo la procedura legislativa ordinaria (2),
considerando quanto segue:
(1)Al fine di contribuire al corretto funzionamento del mercato interno, sulla base di un livello elevato di protezione dei consumatori e dell’ambiente, e di compiere progressi nella transizione verde, è essenziale che i consumatori possano prendere decisioni di acquisto informate e contribuire in tal modo a modelli di consumo più sostenibili. Ciò implica che gli operatori economici hanno la responsabilità di fornire informazioni chiare, pertinenti e affidabili. È pertanto opportuno introdurre nella normativa dell’Unione in materia di tutela dei consumatori norme specifiche volte a contrastare le pratiche commerciali sleali che ingannano i consumatori e impediscono loro di compiere scelte di consumo sostenibili, quali le pratiche associate all’obsolescenza precoce dei beni, le asserzioni ambientali ingannevoli («greenwashing»), le informazioni ingannevoli sulle caratteristiche sociali dei prodotti o delle imprese degli operatori economici o i marchi di sostenibilità non trasparenti e non credibili. Tali norme consentiranno agli organi nazionali competenti di far fronte efficacemente a tali pratiche. La garanzia che le asserzioni ambientali sono eque, comprensibili e affidabili consentirà agli operatori economici di operare su un piano di parità e permetterà ai consumatori di scegliere prodotti che siano effettivamente migliori per l’ambiente rispetto ai prodotti concorrenti. Sarà così incoraggiata la concorrenza conducendo a prodotti più ecosostenibili, con conseguente riduzione dell’impatto negativo sull’ambiente.
(2)È opportuno introdurre tali nuove norme mediante la modifica degli articoli 6 e 7 della direttiva 2005/29/CE del Parlamento europeo e del Consiglio (3) per quanto riguarda le pratiche commerciali che sono considerate ingannevoli e quindi vietate, in base a una valutazione caso per caso, e mediante la modifica dell’allegato I della stessa direttiva, con l’aggiunta di pratiche ingannevoli specifiche che sono considerate sleali in ogni caso e quindi vietate. Come già stabilito nella direttiva 2005/29/CE, dovrebbe comunque essere possibile ritenere che una pratica commerciale sia sleale sulla base degli articoli da 5 a 9 di tale direttiva, anche se tale particolare pratica non è elencata come pratica commerciale sleale nell’allegato I della direttiva 2005/29/CE.
(3)Affinché possano prendere decisioni più informate e stimolare in tal modo la domanda e l’offerta di beni più sostenibili, i consumatori non dovrebbero essere ingannati sulle caratteristiche ambientali o sociali di un prodotto o sugli aspetti relativi alla circolarità, quali la durabilità, la riparabilità o la riciclabilità, mediante la presentazione generale di un prodotto. È pertanto opportuno modificare l’articolo 6, paragrafo 1, della direttiva 2005/29/CE aggiungendo le caratteristiche ambientali e sociali e gli aspetti relativi alla circolarità all’elenco delle caratteristiche principali di un prodotto rispetto alle quali le pratiche di un operatore economico possono essere considerate ingannevoli in base a una valutazione caso per caso. Le informazioni fornite dagli operatori economici sulle caratteristiche sociali di un prodotto lungo tutta la sua catena del valore possono riguardare, ad esempio, la qualità e l’equità delle condizioni di lavoro della forza lavoro interessata, quali salari adeguati, protezione sociale, sicurezza dell’ambiente di lavoro e dialogo sociale. Tali informazioni possono altresì riguardare il rispetto dei diritti umani, la parità di trattamento e di opportunità per tutti, compresi la parità di genere, l’inclusione e la diversità, i contributi alle iniziative sociali o gli impegni etici, quali il benessere degli animali. Le caratteristiche ambientali e sociali di un prodotto possono essere intese in senso ampio, che comprenda gli aspetti, l’impatto e le prestazioni ambientali e sociali di un prodotto.
(4)Le asserzioni ambientali, in particolare quelle relative al clima, fanno sempre più spesso riferimento alle prestazioni future ai fini della transizione alla neutralità in termini di emissioni di carbonio o alla neutralità climatica, oppure di un obiettivo analogo, entro una determinata data. Con tali asserzioni gli operatori economici danno l’impressione che acquistando i loro prodotti i consumatori contribuiscano a un’economia a basse emissioni di carbonio. Ai fini dell’equità e della credibilità di tali asserzioni, è opportuno modificare l’articolo 6, paragrafo 2, della direttiva 2005/29/CE vietando quelle che, in base a una valutazione caso per caso, non risultano corroborate da impegni e obiettivi chiari, oggettivi, pubblicamente disponibili e verificabili fissati dall’operatore economico, e definiti in un piano di attuazione dettagliato e realistico che indichi in quale modo tali impegni e obiettivi saranno conseguiti e che stanzi risorse a tal fine. Tale piano di attuazione dovrebbe includere tutti gli elementi pertinenti necessari per adempiere agli impegni, quali le risorse di bilancio e gli sviluppi tecnologici, se del caso e in conformità del diritto dell’Unione. Tali asserzioni dovrebbero inoltre essere verificate da un esperto terzo, che dovrebbe essere indipendente dall’operatore economico, esente da conflitti di interessi e dotato di esperienza e competenze in materia ambientale, il quale dovrebbe poter verificare periodicamente i progressi compiuti dall’operatore economico rispetto a tali impegni e obiettivi, comprese le tappe fondamentali per conseguirli. Gli operatori economici dovrebbero garantire che i risultati periodici dell’esperto terzo siano a disposizione dei consumatori.
(5)Un’altra pratica commerciale potenzialmente ingannevole da aggiungere alle pratiche specifiche di cui all’articolo 6, paragrafo 2, della direttiva 2005/29/CE è quella di pubblicizzare come vantaggi per i consumatori caratteristiche che sono irrilevanti e non direttamente connesse ad alcuna caratteristica del prodotto specifico o dell’impresa in questione e che potrebbero indurre i consumatori a credere che siano più vantaggiosi per i consumatori, l’ambiente o la società rispetto ad altri prodotti o imprese di operatori economici dello stesso tipo, ad esempio asserendo che una particolare marca di acqua in bottiglia è priva di glutine o che i fogli di carta non contengono plastica.
(6)Il raffronto dei prodotti in base alle rispettive caratteristiche ambientali o sociali o agli aspetti relativi alla circolarità, quali la durabilità, la riparabilità o la riciclabilità, è una tecnica di marketing sempre più diffusa che potrebbe essere ingannevole per i consumatori, che non sempre sono in grado di valutare l’affidabilità di tali informazioni. Affinché tali raffronti non ingannino il consumatore, è opportuno modificare l’articolo 7 della direttiva 2005/29/CE per imporre agli operatori economici di fornire ai consumatori informazioni sul metodo di raffronto, sui prodotti raffrontati e sui fornitori di tali prodotti, così come sulle misure predisposte per tenere aggiornate le informazioni. I consumatori dovrebbero così essere messi in grado di prendere decisioni di natura commerciale più consapevoli quando si basano su tali raffronti. È opportuno garantire che tali raffronti siano oggettivi, in particolare grazie al raffronto di prodotti che svolgono la medesima funzione, all’impiego di un metodo comune e di assunti comuni e al raffronto fra caratteristiche rilevanti e verificabili dei prodotti in questione.
(7)I marchi di sostenibilità possono riguardare molte caratteristiche di un prodotto, di un processo o di un’impresa, ed è essenziale garantirne la trasparenza e la credibilità. Pertanto è opportuno vietare l’esibizione di marchi di sostenibilità che non sono basati su un sistema di certificazione o che non sono stati stabiliti da autorità pubbliche includendo tali pratiche nell’elenco di cui all’allegato I della direttiva 2005/29/CE. Prima di esibire un marchio di sostenibilità, l’operatore economico dovrebbe garantire che, secondo i termini del sistema di certificazione disponibili al pubblico, tale marchio soddisfi condizioni minime di trasparenza e credibilità, compresa l’esistenza di un controllo obiettivo della conformità ai requisiti del sistema. Tale monitoraggio dovrebbe essere effettuato da un terzo la cui competenza e indipendenza sia dal titolare del sistema che dall’operatore economico siano garantite sulla base delle norme e delle procedure internazionali, dell’Unione o nazionali, ad esempio dimostrando la conformità alle pertinenti norme internazionali, quali la norma ISO 17065 «Valutazione della conformità - Requisiti per gli organismi di certificazione di prodotti, processi e servizi» o attraverso i meccanismi di cui al regolamento (CE) n. 765/2008 del Parlamento europeo e del Consiglio (4). L’esibizione di marchi di sostenibilità è possibile in assenza di un sistema di certificazione quando il marchio è stabilito da un’autorità pubblica o in caso di forme di espressione e presentazione supplementari degli alimenti utilizzate in conformità dell’articolo 35 del regolamento (UE) n. 1169/2011 del Parlamento europeo e del Consiglio (5).
Esempi di marchi di sostenibilità stabiliti dalle autorità pubbliche sono i loghi assegnati per la conformità ai requisiti dei regolamenti (CE) n. 1221/2009 (6) o (CE) n. 66/2010 (7) del Parlamento europeo e del Consiglio. Alcuni marchi di certificazione, quali definiti all’articolo 27 della direttiva (UE) 2015/2436 del Parlamento europeo e del Consiglio (8), possono fungere anche da marchi di sostenibilità se promuovono un prodotto, un processo o un’impresa con riferimento, ad esempio, alle sue caratteristiche ambientali o sociali o a entrambe. L’operatore economico dovrebbe poter esibire tali marchi di certificazione solo se sono stabiliti da autorità pubbliche o basati su un sistema di certificazione. Tale norma integra l’allegato I, punto 4, della direttiva 2005/29/CE, che vieta di asserire che un operatore economico, le sue pratiche commerciali o un prodotto sono stati approvati, accettati o autorizzati da un organismo pubblico o privato quando ciò non sia avvenuto o senza rispettare le condizioni dell’approvazione, dell’accettazione o dell’autorizzazione ricevuta. Le norme volontarie pubbliche e le norme volontarie basate sul mercato per le obbligazioni verdi e sostenibili non si rivolgono principalmente agli investitori al dettaglio e sono soggette a discipline legislative specifiche. Per tali motivi, tali norme non dovrebbero essere considerate marchi di sostenibilità a norma della presente direttiva. È importante che le autorità pubbliche promuovano, per quanto possibile e nel rispetto del diritto dell’Unione, misure volte ad agevolare l’accesso ai marchi di sostenibilità per le piccole e medie imprese.
(8)Nei casi in cui l’esibizione di un marchio di sostenibilità comporti una comunicazione commerciale che suggerisce o dà l’impressione che il prodotto abbia un impatto positivo o nullo sull’ambiente oppure sia meno dannoso per l’ambiente rispetto ai prodotti concorrenti, tale marchio di sostenibilità dovrebbe inoltre essere considerato come un’asserzione ambientale.
(9)È opportuno modificare l’allegato I della direttiva 2005/29/CE per vietare la formulazione di un’asserzione ambientale generica in assenza di un’eccellenza riconosciuta delle prestazioni ambientali pertinenti all’asserzione. Esempi di asserzioni ambientali generiche comprendono: «rispettoso dell’ambiente», «ecocompatibile», «verde», «amico della natura», «ecologico», «rispettoso dal punto di vista ambientale», «rispettoso dal punto di vista del clima», «che salvaguarda l’ambiente», «rispettoso in termini di emissioni di carbonio», «efficiente sotto il profilo energetico», «biodegradabile», «a base biologica» o asserzioni analoghe che suggeriscono o danno l’impressione di un’eccellenza delle prestazioni ambientali. Tali asserzioni ambientali generiche dovrebbero essere vietate se non può essere dimostrata un’eccellenza riconosciuta delle prestazioni ambientali. Se la specificazione dell’asserzione ambientale è fornita in termini chiari ed evidenti tramite lo stesso mezzo, quale il medesimo annuncio pubblicitario, la confezione del prodotto o l’interfaccia di vendita online, l’asserzione ambientale non è considerata un’asserzione ambientale generica. Ad esempio l’asserzione «imballaggio rispettoso dal punto di vista del clima» sarebbe una asserzione generica, mentre affermare che «il 100 % dell’energia utilizzata per produrre questo imballaggio proviene da fonti rinnovabili» sarebbe una asserzione specifica che non sarebbe soggetta a questo divieto, fatte salve altre disposizioni della direttiva 2005/29/CE che restano applicabili a tali asserzioni specifiche. Inoltre, un’asserzione presentata in forma scritta o oralmente combinata con dichiarazioni implicite mediante colori o immagini potrebbe costituire un’asserzione ambientale generica.
(10)L’eccellenza riconosciuta delle prestazioni ambientali è dimostrabile mediante la conformità al regolamento (CE) n. 66/2010 o a un sistema di assegnazione di marchi di qualità ecologica EN ISO 14024 riconosciuto ufficialmente negli Stati membri o corrispondendo alle migliori prestazioni ambientali per una caratteristica ambientale specifica in conformità di altre normative dell’Unione applicabili, quali una classe A ai sensi del regolamento (UE) 2017/1369 del Parlamento europeo e del Consiglio (9). L’eccellenza riconosciuta delle prestazioni ambientali dovrebbe essere rilevante ai fini dell’intera asserzione. Ad esempio un’asserzione ambientale generica quale «efficiente sotto il profilo energetico» potrebbe essere formulata sulla base dell’eccellenza riconosciuta delle prestazioni ambientali in conformità del regolamento (UE) 2017/1369. Al contrario un’asserzione ambientale generica quale «biodegradabile» non potrebbe essere formulata sulla base dell’eccellenza riconosciuta delle prestazioni ambientali in conformità del regolamento (CE) n. 66/2010, in quanto non vi sono requisiti di biodegradabilità nei criteri specifici relativi all’Ecolabel UE concernenti il prodotto in questione. Analogamente, un operatore economico non dovrebbe formulare un’asserzione generica come «consapevole», «sostenibile» o «responsabile» basata esclusivamente sull’eccellenza riconosciuta delle prestazioni ambientali, in quanto tali asserzioni riguardano altre caratteristiche oltre a quelle ambientali, come le caratteristiche sociali.
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