Nel 2004 l'Unione europea contava quindici membri,completava l'allargamento ad Est per inglobare il mondo ex-comunista,al tempo stesso cercava uno storico avanzamento con il progetto di una Costituzione europea,ma subiva ben presto i contraccolpi dell'ampliamento cui si aggiungeva lo choc della bocciatura referendaria del progetto costituzionale da parte di Francia e Olanda.Si apriva quindi una fase di paralisi istituzionale faticosamente superata con il Trattato di Lisbona del 2009.Ma poi sopraggiungeva la grande crisi finanziaria che metteva a dura prova la stessa sopravvivenza dell'Unione.
La Commissione Barroso era costretta a navigare a vista,faticando e non c'è dubbio che non ha torto chi ha sostenuto che in questi anni,soprattutto negli ultimi,ci sia stata una modifica degli equilibri istituzionali a vantaggio del Consiglio (e quindi degli Stati nazionali) nei confronti della Commissione.
Ma attribuire a Barroso e alla sua squadra la responsabilità principale di questa involuzione intergovernativa è obiettivamente eccessivo.E d'altra parte,lo stesso Presidente uscente ha difeso con energia il proprio operato nel discorso d'addio,pronunciato davanti all'Europarlamento in cui ha sottolineato come la crisi economica non sia stata creata dall'Unione europea,rivelando che oggi la Commissione detiene più poteri di dieci anni fa in tema di governance della zona Euro,con una Bce che ha la supervisione delle banche europee (prospettiva inimmaginabile qualche tempo fa).Secondo Barroso per uscire dalla crisi all'Europa non serve una rivoluzione,ma compromessi.Diagnosi condivisibile a patto che il suo successore,Juncker,comprenda che non vi è più tempo di compromessi al ribasso.
Serve una svolta sia sul versante istituzionale (anche per fronteggiare e neutralizzare la crescente deriva euroscettica),che soprattutto sul versante politico ed economico-finanziario. Dopo aver superato rapidamente il critico passaggio del voto dell'Europarlamento sulla nuova Commissione – con il rimpasto in conseguenza della bocciatura della slovena Alenka Bratusek e con il cambio di portafoglio per il commissario uscente,Sefkovic – Junker è pronto ad assumere la guida dell'esecutivo comunitario.
Lo scopo dichiarato è quello di rimettere in moto l'Europa.In che modo?Secondo il nuovo Presidente bisogna puntare su tre priorità:"Riforme strutturali, credibilità fiscale e investimenti".In particolare,l'attenzione sarà concentrata sulla terza voce,poiché gli investimenti sono calati in Europa del 20 per cento dal 2007 ad oggi e sarà necessario un compromesso,ma non un compromesso qualsiasi,bensì un grande compromesso tra i ventotto Stati membri e le forze politiche per uscire dalla crisi attuale.In tale contesto,Juncker si è impegnato a presentare,entro Natale,un piano dettagliato per 300 miliardi di Euro di investimenti pubblici e privati...un piano che va incontro in modo particolare alle richieste e alle esigenze dei governi di Italia e di Francia.
L'obiettivo strategico della neo Commissione è chiaro:"Dopo anni di rigore e di austerità, imposti soprattutto dalla Germania,bisogna voltare pagina".La grande sfida consisterà nel riuscire a spingere l'acceleratore sulla crescita senza toccare le regole della stabilità,ma con i margini di flessibilità consentiti dai trattati vigenti.
Riuscirà l'Unione europea ad invertire la marcia e a ridurre nei Paesi membri il tasso ormai insopportabile di disoccupazione?La grande esperienza sui temi economici del lussemburghese Juncker è una garanzia,così come la presenza nel nuovo team dell'italiana Federica Mogherini, nei panni di Alto Rappresentante per gli Affari Esteri e la Sicurezza,nonché di Vicepresidente della Commissione costituisce un auspicio che l'Ue acquisisca quel ruolo ormai inderogabile nella politica estera mondiale."O riusciamo a riavvicinare i cittadini,o sarà il fiasco totale",ha dichiarato il neo-presidente nel discorso d'insediamento a Strasburgo.Nei prossimi cinque anni alle parole,quindi,dovranno seguire i fatti.
Fonte:Commissione europea - Rappresentanza in Italia.